venerdì 31 ottobre 2014

Piazza vs Leopolda

Lo scorso sabato si è svolto un duello a distanza tra Roma e Firenze. Da un lato la piazza, colma di lavoratori ed ex lavoratori che ancora una volta scendono in strada per urlare che il lavoro è un diritto e come tale va tutelato; mentre dall’altra parte, a Firenze, c’è la convention dei renziani della prima e ultima ora. Tutti hanno i loro buoni motivi per essere presenti all’una o all’altra manifestazione.
A Roma, le parole sono affascinanti, il clima è festoso, tuttavia ciò non rende l’aria meno pesante e intrisa dell’angoscia di chi vede ogni giorno il proprio futuro lavorativo sempre meno certo.
La Cgil, promotore della manifestazione, negli ultimi mesi è spesso accusata dal governo di incarnare l’anima dell’immobilismo italiano, il lato vecchio della nostra società, quindi il nemico numero uno da abbattere. Certamente il sindacato non rappresenta un modello di modernità nel nostro paese, tuttavia al momento mi appare come l’ultimo difensore dei lavoratori e l’unica voce che si innalza per denunciare la continua erosione di posti di lavoro a causa della chiusura di fabbriche grandi e piccole.
Nonostante ciò non si può fare a meno di porsi una domanda, forse anche un po’ impertinente: quanti di quei manifestanti che sono scesi in piazza per protestare, contro il jobs act e la legge di stabilità,  sostengono o hanno approvato quel governo contro cui ora manifestano? Dato quel famoso 40% delle ultime elezioni europee, a cui si riferisce tanto spesso il nostro premier, bisogna dire molti.
Mentre alla Leopolda di Firenze, dove si riuniscono esponenti e simpatizzanti del PD, si parla di un ipotetico futuro, il presente sembra essere già trascorso e così ad ascoltare i discorsi che si susseguono sul  palco e le reazioni del pubblico sembra di essere ad una convention di esaltati visionari più che ad una presentazione di un progetto per arrivare alla fine di questo tunnel chiamato “crisi”. Invece di farsi la festa da soli con applausi, boati e standing ovation, perché non guardano al paese reale, che è al di fuori delle loro menti? Si rinnega il passato e la parola “sinistra” diventa un tabù. Sei uno della Leopolda se porti entusiasmo e ottimismo, altrimenti vieni etichettato come nemico, gufo, disfattista.
Siamo sempre alle solite, dove i manifestanti raccontano storie di sconfitte e  il potere racconta solo se stesso.



sabato 18 ottobre 2014

Tanto rumore per nulla

Dopo aver atteso per giorni, e letto e riletto quotidiani italiani e non, alla fine ho deciso: se nessuno tra i maggiori giornalisti e giornali non hanno parlato del vertice europeo tenutosi a Milano l’8 ottobre sul tema dell’occupazione, in particolar modo nei giorni successivi, è decisamente il caso di  fare il punto di ciò che è avvenuto.
Passiamo ai fatti. La conferenza informale sui temi del lavoro e della crescita tra i Capi di Stato e Governo e i rispettivi Ministri del lavoro tenutasi la scorsa settimana, non ha prodotto nessun risultato significativo o degno di nota, come già in molti giornalisti avevano predetto con largo anticipo guardando ai summit di Berlino e Parigi che lo avevano preceduto. In compenso le tre conferenze hanno avuto tutte la stessa formula: tante parole, pochi impegni traducibili in azioni concrete e successivamente sono tutte state investite dal più assoluto silenzio.
Il vertice di Milano, che si poneva l’obiettivo di trovare la miracolosa ricetta contro la crescente disoccupazione europea, doveva inizialmente tenersi nel mese di luglio a Torino, ma problemi di sicurezza e agenda, hanno fatto sì che cadesse nel dimenticatoio fino alla proposta del nostro premier.
Renzi ha scelto il mese di ottobre per il suo svolgimento. La proposta di Renzi era dettata soprattutto dal desiderio di poter annunciare proprio durante il summit sull’occupazione alla presenza dei più importanti politici europei, l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento italiano del Jobs Act, fortemente voluto dal suo esecutivo. Una riforma più volte richiesta all’Italia dall’Europa; ma il sogno di Renzi è poi naufragato, dato che l’approvazione è avvenuta quando la conferenza era conclusa già da qualche ora.
In un contesto europeo non facile in cui la cancelliera tedesca Angela Merkel richiama all’ordine chi non vuole fare “sacrifici”, la Francia di Hollande non ha nessuna intenzione di portare dal 4,3% al 3% il deficit nel 2015, era per Renzi  fattore di orgoglio la presentazione della sua legge sul lavoro, in perfetto stile “bravo scolaretto”.

Dopo la conferenza dell’8 ottobre i leader di Italia, Germania e Francia e i vertici delle Istituzioni europee non si sono sottratti ai fotografi, al termine di una riunione di poche ore, poco più che simbolica, e si sono prodigati in discorsi e dichiarazioni. Peccato che la pubblicità messa in atto da coloro che avrebbero dovuto prendere misure adeguate per combattere la disoccupazione, un problema non solo italiano ma bensì europeo, sarebbe stata lecita ed elegante se solo fosse stato raggiunto un vero risultato.


venerdì 3 ottobre 2014

I qaedisti aprono le porte all'occidente


Il declino dell’Occidente è arrivato? Non mi riferisco al declino morale o sociale, che lascio al giudizio soggettivo di ognuno, ma di un declino reale, fatto di terrore e paura annunciato dallo Stato Islamico.


L’organizzazione terrorista composta da milizie armate sunnite che sta conducendo una vera e propria guerra di conquista in Iraq e Siria, continua ad attrarre proseliti e combattenti dal cuore dell’ Europa. In molti, troppi casi, questi innamorati dell’ultima ora della "guerra santa" sono figli dell’ immigrazione di terza o addirittura quarta generazione, che in molti casi con i loro nonni, che provenivano dall’Africa del Nord o dal Medio oriente, hanno in comune solo il patrimonio genetico, quindi a tutti gli effetti per cultura, lingua e stile di vita degli europei.


Il fanatismo religioso trova terreno fertile nei Paesi economicamente sviluppati, portando nelle nostre città un pericolo concreto e vicino: il terrorismo. La possibilità di attacchi per mano di quello che è stato il nostro compagno di banco o di giochi o del compagno di serate che poi improvvisamente si è scoperto non religioso, ma un fanatico religioso, sembra non essere così improbabile.


Cosa spinge un ragazzo qualunque a trovare nel’ IS una nuova ragione di vita?

Secondo alcuni l’emarginazione sociale, la disoccupazione e la povertà sarebbero i fattori scatenanti, tesi avallata anche dai dati, infatti il reclutamento avviene nei sobborghi più poveri delle città, come ad esempio il quartiere di Borgerhout ad Anversa in Belgio, dove l’80% della popolazione è immigrata, la disoccupazione raggiunge il 40% e i giovani diventano così facili prede dell’ estremismo. Il Belgio è il Paese europeo da cui provengono più combattenti stranieri in rapporto al numero degli abitanti. Felice Dassetto, docente dell’Università di Lovanio, ci ricorda che questi sono "cittadini che faticano a pensarsi tali e tendono ad isolarsi in una società segnata dall’ateismo militante", ma invita anche a non generalizzare perché "c‘è una maggioranza silenziosa di mussulmani non estremisti che non riesce a esprimersi".

Altri punti di vista sul fiorente estremismo islamico affermano che non è né la povertà né l’ emarginazione sociale la causa, ma una spiegazione più plausibile sarebbe da ricercare nel desiderio di fuggire dalla noia della propria casa e di trovare così una propria identità personale. Ad esempio, per un ragazzo che fa un lavoro senza sbocchi in una grigia cittadina, il fatto di sentirsi parte di un gruppo suscita un certo interesse, per questo gli estremisti hanno concentrato gli sforzi per il reclutamento di giovani in cittadine grigie e noiose, dove non si ha la percezioni di poter migliorare il proprio futuro.

Sarebbe utile sapere con certezza quali sono le vere motivazioni che spingono giovani europei ad arruolarsi per combattere nelle terre da cui sono giunti decenni prima i loro nonni per arginare il fenomeno? Certamente, ma forse la stessa società europea e occidentale dovrebbe porsi una domanda: che figli sta generando? Un esame accurato sui valori e modelli che oggi guidano le nostre esistenze potrebbe rivelarsi utilissimo alla causa.