A Roma, le parole sono affascinanti, il clima è festoso, tuttavia ciò non rende l’aria meno pesante e intrisa dell’angoscia di chi vede ogni giorno il proprio futuro lavorativo sempre meno certo.
La Cgil, promotore della manifestazione, negli ultimi mesi è spesso accusata dal governo di incarnare l’anima dell’immobilismo italiano, il lato vecchio della nostra società, quindi il nemico numero uno da abbattere. Certamente il sindacato non rappresenta un modello di modernità nel nostro paese, tuttavia al momento mi appare come l’ultimo difensore dei lavoratori e l’unica voce che si innalza per denunciare la continua erosione di posti di lavoro a causa della chiusura di fabbriche grandi e piccole.
Nonostante ciò non si può fare a meno di porsi una domanda, forse anche un po’ impertinente: quanti di quei manifestanti che sono scesi in piazza per protestare, contro il jobs act e la legge di stabilità, sostengono o hanno approvato quel governo contro cui ora manifestano? Dato quel famoso 40% delle ultime elezioni europee, a cui si riferisce tanto spesso il nostro premier, bisogna dire molti.
Mentre alla Leopolda di Firenze, dove si riuniscono esponenti e simpatizzanti del PD, si parla di un ipotetico futuro, il presente sembra essere già trascorso e così ad ascoltare i discorsi che si susseguono sul palco e le reazioni del pubblico sembra di essere ad una convention di esaltati visionari più che ad una presentazione di un progetto per arrivare alla fine di questo tunnel chiamato “crisi”. Invece di farsi la festa da soli con applausi, boati e standing ovation, perché non guardano al paese reale, che è al di fuori delle loro menti? Si rinnega il passato e la parola “sinistra” diventa un tabù. Sei uno della Leopolda se porti entusiasmo e ottimismo, altrimenti vieni etichettato come nemico, gufo, disfattista.
Siamo sempre alle solite, dove i manifestanti raccontano storie di sconfitte e il potere racconta solo se stesso.